Via D’Amelio
di Flavio Provini
(al giudice Paolo Borsellino, alla sua scorta)
Ora che la sveglia non squilla più alle cinque
e ingiustizia è fatta sullo scranno del tempo,
io danzo farfalla bianca in un pulviscolo di ricordi
e nuvole sospese sul tramestio dei vivi,
assolvo un Dio genuflesso come fosse il reo
di quel boato – un neo sulla pelle del passato –
con il mio corteo di cinque amici ancora appresso
nel cielo dove il sole è un bocciolo di zagara.
E ci stringiamo insieme, io e i miei ragazzi
strappati ai roseti in fiore come spine fastidiose,
piantiamo a memoria il seme del perdono,
un segno di vittoria che ora echeggia nelle scuole,
sulle stampe ingiallite dove ancora sono
fiero nel gessato grigio su misura,
un sorriso scucito ai baffetti per non tradire
la paura che mi azzannava il cuore,
e i miei figli in sogno che si sbracciavano
mentre salivo i gradini del Palazzo Azzurro.
Non ho più la toga adesso, né un arsenale di illusioni
neppure il caldo abbraccio di un’idea onesta
a coprire membra implose come petardi
in uno scoppio che capovolse il giorno,
là, da mia madre, sul davanzale dell’estate.
E faccio ancora l’amore coi commi della legge
mi inebrio di fragranze di precetti,
di parole belle, come lealtà, rispetto, buon costume
di assiomi che scuotono il tetto delle istituzioni.
E li ripeto, li ripetiamo in coretto, io e quei cinque eroi
Agostino, Vincenzo, Claudio, Walter, Emanuela
quando ricordiamo il gas che scalzò l’abbaglio viola
i coriandoli che fummo su lamiere e calcinacci
la ruggine del vespro giunto troppo presto
la bolla che ci fagocitò prima della stretta del silenzio
e le sirene delle volanti che non sentimmo,
già farfalle bianche su una nube di tritolo
in quel volo di metà luglio, in Via D’Amelio.
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